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Teoria Politica. Nuova serie Annali V, 2014
© 2015 Marcial Pons
Ediciones Jurídicas y Sociales, S. A.
ISSN: 0394-1248
Madrid, 2015 págs. 9-14

In questo numero. Nei prossimi numeri. Invito a contribuire

1. In questo numero
Il presente volume di Teoria politica si articola in tre sezioni.
La prima sezione, che occupa gran parte del volume, è dedicata al problema dei rapporti tra Capitalismo e democrazia, considerato soprattutto dall’angolo visuale della «crisi» che negli ultimi anni ha investito, in (quasi) ogni parte del globo, sia il sistema economico dominante, sia il regime politico prevalente. È il problema sul quale Teoria politica ha promosso una riflessione collettiva, lanciando nel numero scorso (vol. III, 2013) uno specifico invito a contribuire. Questa sezione comprende quattordici articoli, disposti in un ordine sistematico ratione materiae: otto di essi —quelli di Michelangelo Bovero, Mark Bevir, Maria Rosaria Ferrarese, Francisco J. Laporta, Emilios Christodoulidis, Bruno Théret, Ermanno Vitale e Remo Bodei— corrispondono ai testi riveduti e corretti delle relazioni e degli interventi pronunciati al Terzo seminario di Teoria politica, organizzato a Torino nell’ottobre 2013. Gli articoli di Roberto Schiattarella, Mauro Barberis, Clelia Bartoli e Serge Latouche traggono origine dalle lezioni sul tema generale del capitalismo da essi tenute tra gennaio e giugno del 2013 nel corso del VI semestre didattico della Scuola per la buona politica di Torino. Il contributo di Gregory Albo e Carlo Fanelli e quello di Colin Leys ci sono pervenuti in risposta al nostro più ampio invito alla riflessione comune.
La seconda sezione, intitolata Saggi, come di consueto è di carattere miscellaneo. Tuttavia, i quattro contributi in essa compresi sono riconducibili ad alcuni dei problemi della democrazia su cui Teoria politica ha avviato la discussione nei numeri precedenti. L’articolo di Ernesto Ottone è dedicato specificamente alla nuova stagione politica inaugurata in Cile dall’elezione di Michelle Bachelet, ma richiama più in generale l’attenzione sulle trasformazioni indotte dall’incidenza di internet sulla vita pubblica democratica. Il saggio di Valentina Pazé affronta i problemi connessi alla proposta di abolizione del divieto di mandato imperativo, che l’uso politico della rete tecnicamente consentirebbe, avanzata da alcuni soggetti politici —in Italia dal «Movimento Cinque Stelle»— come rimedio alla crisi della democrazia rappresentativa. Il contributo di Adriano Cirulli ed Enrico Gargiulo ricostruisce la teoria della democrazia populista di Ernesto Laclau, e discute le prospettive dei populismi contemporanei. L’articolo di David Ragazzoni rivisita la classica lezione kelseniana su parlamentarismo e democrazia.
La terza sezione, Rassegne di studi, è dedicata alla ricostruzione della discussione su due temi attuali, particolarmente rilevanti: le trasformazioni e il «destino» dei partiti politici in Italia, di cui si occupa l’intervento di Davide Pellegrino; la fortuna della nozione di «giustizia globale» nel dibattito internazionale, su cui verte la rassegna di Davide Pala.
2. Nei prossimi numeri
I problemi della democrazia rimangono al centro dell’attenzione di Teoria politica. Sembra anzitutto opportuno approfondire la discussione sui rapporti tra democrazia e capitalismo, a partire (anche) da una riflessione collettiva sui contributi pubblicati nel presente volume, che affrontano la questione da molte differenti prospettive, teoriche e disciplinari. Scopo primario di Teoria politica è promuoverne la reciproca fruizione. Da essa, non mancheranno di scaturire indicazioni verso l’apertura di nuovi orizzonti di ricerca. In questa direzione, emerge come particolarmente rilevante l’esigenza di tornare a riflettere su uno dei volti più drammatici della (cosiddetta) crisi, economica e politica —crisi del capitalismo e della democrazia—, su cui vertono le analisi di molti articoli compresi in questo numero: l’aumento smisurato della diseguaglianza, il divario sempre crescente tra la concentrazione di grandi ricchezze e l’estensione di grandi povertà. Di qui l’aggravarsi, su scala planetaria, della «questione sociale». Rispetto alla quale, non è difficile identificare due atteggiamenti opposti delle classi dirigenti, nazionali e transnazionali. Da un lato, soprattutto nella regione europea, è prevalso l’indirizzo di subordinare la garanzia dei diritti fondamentali, e in particolare dei diritti sociali, agli obiettivi di assorbimento del deficit e risanamento del debito pubblico: questo indirizzo ha condotto persino all’introduzione nelle costituzioni di alcuni stati, come l’Italia e la Spagna, di una norma che prescrive il pareggio di bilancio. Dall’altro lato, in altre zone del mondo, ad esempio in Brasile, si è affermato l’orientamento contrario di destinare, mediante norme costituzionali, una quota percentuale inderogabile della spesa pubblica alla soddisfazione dei diritti vitali delle persone. Potremmo dire: su un versante, i poteri pubblici pongono —meglio: si impongono— vincoli «antisociali», sul versante opposto, vincoli «sociali», che condizionano e anzi determinano la natura delle rispettive politiche economiche.
Naturalmente, il panorama è molto più complicato e variegato di quel che sembra emergere se ci si limita a questa contrapposizione. Non solo perché l’esperienza mostra che sussistono vari gradi intermedi tra i due estremi. Ma anche perché, accanto alla sostanza degli indirizzi politici, o come si usa dire delle «politiche» (policies), definita dagli obiettivi perseguiti e dai mezzi adottati per raggiungerli, appare altrettanto opportuno e rilevante considerare la forma dei processi decisionali, la natura dei soggetti che promuovono quelle politiche, i loro caratteri distintivi, i metodi impiegati per aggregare consenso, ottenere legittimazione e conquistare le posizioni di comando, e gli effetti che ne conseguono sulle architetture del potere, sulle costituzioni formali e materiali. Guardando a questo aspetto del panorama politico, sembra profilarsi un’altra polarità, che contrappone «tecnocrazie» e «populismi». Senonché, tra questa dicotomia e la precedente, quella che distingue indirizzi politici (policies) «antisociali» e «sociali», non si può stabilire una corrispondenza semplice di termine a termine. Se l’orientamento «antisociale» delle tecnocrazie, in varie esperienze nazionali e negli organismi internazionali e trasnazionali, appare inequivoco, o almeno sinora nettamente prevalente; nell’ultimo ventennio (e oltre), soprattutto nell’area europea, alcuni soggetti politici —partiti e movimenti— che si sono affermati con strategie demagogiche populiste, connesse in vario modo allo «sciovinismo del benessere» (Habermas), hanno promosso indirizzi politici conformi al neoliberalismo ortodosso del cosiddetto Washington Consensus. Ma contemporaneamente, in varie zone dell’America latina molti soggetti nuovi si sono imposti attraverso metodi populisti —in taluni casi rivendicati come tali dagli stessi protagonisti—, conquistando larghi consensi tra le vittime della globalizzazione neoliberale sulla base di programmi «sociali» più o meno accorti e fortunati. Quel che importa rilevare è che i successi delle tecnocrazie e dei populismi, indipendentemente dal contrasto o dall’incrocio e talvolta ibridazione tra i loro obiettivi e metodi, hanno agito come spinte convergenti verso la trasformazione degli assetti istituzionali riconducibili al modello della democrazia costituzionale. Le architetture del potere politico hanno subito dovunque una torsione «verticalizzante»: ne sono risultati alterati le articolazioni tra le funzioni pubbliche e gli equilibri tra gli organi destinati ad esercitarle; e gli schemi concettuali consolidati nell’uso delle scienze sociali sono apparsi spesso inadatti a intendere e interpretare la realtà.
Ma Teoria politica invita a non appiattire troppo lo sguardo sul presente, anche per evitare il rischio che alcuni strumenti concettuali nuovi o seminuovi, costruiti o rimodellati ad hoc —come la stessa nozione di «(neo-)populismo», o «antipolitica», o «postdemocrazia», o «contro-democrazia», ecc.— si rivelino presto, in una qualche misura, ambigui o poco efficaci o inconsistenti, di corto respiro o di scarsa portata esplicativa. Per questo Teoria politica intende avviare dal prossimo numero una riconsiderazione e un ripensamento su ampi orizzonti teorici e storici delle categorie principali della politica, che si sono plasmate e riplasmate attraverso i secoli. A partire dalle «figure del politico» —da intendersi nel senso platonico di «uomo politico», soggetto delle decisioni collettive— che esprimono e incarnano le funzioni pubbliche essenziali: il legislatore, il governante, il giudice. La figura mitico-storica del grande legislatore —il nomothetes: Solone, Licurgo— attraversa la storia della cultura politica occidentale, dalle origini greche fino all’età del costituzionalismo: è il creatore della comunità, alla quale dona forma e identità istituendo le norme fondamentali della convivenza, anzitutto quelle che regolano i poteri pubblici, tra cui la stessa funzione legislativa; ma così il «potere di dare leggi», quintessenza del potere politico (Hobbes), concepito come sottoposto anch’esso ad una legge superiore, si sdoppia. Donde, il contrasto multiforme tra diritto e potere: tra nomos e kratos. La figura del governante —dal greco kybernetes, da cui a calco il latino gubernator, e di qui nelle varie lingue moderne i termini «governo» e derivati— richiama l’antica metafora della «nave dello stato», inaugurata da Alceo tra il VII e il VI sec. a.C. «Governare» la nave, e lo stato, richiede che vengano svolte tre attività essenziali: fissare la mèta, stabilire la rotta, reggere il timone. Il greco kybernetes, come il latino gubernator, indica originariamente e propriamente il ruolo tecnico del timoniere; ma il timoniere non è come tale il comandante (in greco, archon), anche se il comandante si pone spesso al timone: Palinuro non è Enea. Donde, la tensione e commistione nell’idea di «governo» tra competenze tecniche e responsabilità di guida politica. La figura del giudice (in greco dikastes), archetipo del potere «terzo» sopra le parti, cui è affidarto il compito di risolvere le controversie, compare ricorrentemente come personificazione dell’esigenza primaria e indispensabile per l’istituzione e la conservazione della convivenza, dello status societatis: basti ricordare la teoria politica di Locke. Ma il giudice è sottoposto alla legge e la applica, oppure la pone? E a quale legge sarà sottoposto il «giudice delle leggi»? Le corti costituzionali applicano la costituzione o pongono le stesse norme costituzionali, interpretando principi «morali»?
3. Inviti a contribuire
3.1. Ancora capitalismo, democrazia, crisi. La questione sociale, oggi
L’ideologia neoliberale, che si è trasformata in una sorta di meta-indirizzo politico globale, considera la democrazia come un ostacolo per il capitalismo: lo faceva già osservare Norberto Bobbio più di trent’anni or sono (v. l’articolo di Bovero, in questo numero). Così, il capitalismo —o il «finanzcapitalismo»—ha finito per esautorare la democrazia, ovvero il potere di autodeterminazione politica, instaurando una sorta di rule of capital al posto del rule of law (v. l’articolo di Laporta, in questo numero). L’insorgere della crisi, che molti ritengono scaturita proprio dalla carenza di limiti e vincoli all’attività capitalistica, potrebbe essere assunta come una confutazione di fatto, ed anzi un rovesciamento, della tesi neoliberale. Esistono rimedi politici democratici alla crisi economica? E quali potrebbero essere questi rimedi, se la stessa democrazia è in crisi, ed anzi molti ritengono sia stata messa in crisi dal capitalismo senza freni, grazie all’azione determinante di partiti e movimenti che hanno assunto e promosso indirizzi politici ispirati all’ideologia neoliberale? Rimedi a che cosa? Allo stato delle finanze pubbliche, con l’obiettivo di restaurare condizioni ed assetti economici e politici precedenti la crisi; oppure al dilagare delle diseguaglianze e delle povertà, all’aggravarsi della questione sociale che la crisi e la sua gestione hanno prodotto? Non potrebbe o dovrebbe essere —tautologicamente— la restaurazione della democrazia, del potere di autodeterminazione politica, il rimedio alla crisi della democrazia stessa e all’incapacità o debolezza delle classi politiche, divenute ancelle del potere economico, nel fronteggiare la questione sociale? Tecnocrazie e populismi (di vario colore) sono rimedi o cause di mali peggiori?
Teoria politica incoraggia contributi sui seguenti temi specifici:
— la natura endogena o esogena delle crisi del capitalismo e della democrazia: interazioni tra sistema economico e sistema politico;
— tecnocrazie e populismi: forma e sostanza degli indirizzi politici nella crisi del capitalismo e della democrazia;
— diseguaglianze, disoccupazione, impoverimento: forme e dimensioni della «questione sociale», oggi;
— il vincolo al pareggio di bilancio e gli indirizzi «antisociali» nelle politiche costituzionali e legislative in Europa;
— fenomenologia delle politiche sociali nelle diverse regioni del globo.
3.2. Il legislatore, il governante, il giudice: tre figure del potere
Non soltanto il lessico, ma anche le nozioni basilari del linguaggio politico corrente hanno in gran parte origini nel mondo antico: una lunga durata che induce sempre di nuovo a tornare sulle fonti classiche della nostra cultura. Proprio per contrastare il rischio che si affievolisca la capacità teorica di comprendere e interpretare la realtà, cedendo alla miope illusione «che ogni dieci anni la storia ricominci da capo» (N. Bobbio), è necessario ripensare le categorie fondamentali della politica e ricostruire le vicende attraverso cui si sono modellate nei secoli. La stessa crisi attuale del potere politico e l’erosione del paradigma della democrazia costituzionale suggeriscono di riconsiderare le figure archetipiche dei tre poteri cui siamo soliti attribuire le funzioni pubbliche principali, il legislatore, il governante, il giudice, e di ricavarne nuovi motivi di riflessione su molti problemi ricorrenti della convivenza politica.
Teoria politica incoraggia contributi sui seguenti temi specifici:
— la figura e la funzione del legislatore, dalla cultura greca al costituzionalismo moderno;
— la tensione perenne tra il diritto e il potere, e il contrasto speciale tra le leggi e la volontà popolare;
— l’ambigua natura del governo, tra funzione tecnica e ruolo di comando;
— il conflitto sempre latente tra l’amministrazione della giustizia e l’esercizio dell’autorità politica.
M. B.